La diversita’ nel dna del nostro Paese. Allacciamoli, momento di crescita culturale per l’intera societa’, a partire dallo sport
(di Marcel Vulpis) L’Italia da sempre è il paese delle divisioni, degli 8 mila comuni o campanili, ciascuno con una storia diversa rispetto all’altra, ma proprio in questa diversità forse c’è la forza di un paese.
Se la diversità è un elemento di forza ci dispiace invece vedere come sul tema dell’omofobia nello sport ci sia, invece, ancora qualcosa di “divisivo”. A molti, tra addetti ai lavori e non, dà quasi fastidio parlarne. Si intuisce in molti un certo fastidio, come essere omosessuale sia una colpa o qualcosa di cui vergognarsi. Invece la vergogna dovrebbe essere solo in chi ne fa un elemento di divisione tra esseri umani, che hanno diritto di vivere la propria vita, a partire dalla sfera sessuale, come meglio credono: sia come omosessuale, sia come etero.
Ecco perché come agenzia Sporteconomy e come giornalista “liberale” ho aderito, con convinzione, a questa seconda edizione di “Rainbow laces” legato all’hashtag #Allacciamoli.
La lotta all’omofobia o lesbofobia nello sport si combatte solo attraverso la cultura, portando a far riflettere anche chi si sente, in modo non corretto, superiore rispetto ad un altro essere umano.
Essere omosessuale o etero è solo una dimensione socio-sessuale e/o mentale che spetta alla libertà della persona, un’area in cui ciascuno di noi non può entrare se non con un approccio mentale stile “open mind”, puntando alla tutela dei diritti dell’uomo o della donna, perché, prima ancora di essere omosessuali o eterosessuali, siamo “persone” e abbiamo diritto di vivere la nostra vita come meglio crediamo, ricevendo dall’altro (dal vicino di casa al collega di lavoro fino al compagno di squadra nello sport) rispetto a prescindere.
Ecco perché è stato importante vedere ieri al tavolo dei relatori, l’avv. Francesco Soro, capo gabinetto del CONI (guidato da Giovanni Malagò) e il presidente della Lega serie B, Andrea Abodi. Perché su questo tema, molto delicato, le istituzioni sportive ci devono mettere la faccia, come è giusta che sia. Non mi meraviglia, che l’atteggiamento più “open mind” arrivi proprio dagli uomini di Malagò e dal presidente Abodi, due giovani dirigenti/manager sportivi.
No Comment